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In evidenza lo stato di milano capitale involontaria | stefano boeri per limes

lo stato di milano capitale involontaria
stefano boeri per limes

LO STATO DI MILANO
CAPITALE INVOLONTARIA di Stefano Boeri

1. ININTENZIONALE, IMPLICITA, INVOLONTARIA: aggettivi che segnano l’identità di Milano e che raccontano le sue trasformazioni. Milano è sempre stata, in modo inintenzionale, una città globale. Il suo territorio ospitava gli hub italiani di importanti reti economiche e culturali che avevano altri nodi in Europa, e non solo. Non essendo mai stata monoculturale e monotematica, Milano è sempre stata metropoli piccola ma intensa, popolata da differenze e da eterogeneità. Proprio in questo senso implicito, Milano è stata l’unica metropoli internazionale nel territorio italiano, trainata da un arcipelago di eccellenze che hanno condiviso lo spazio in totale autonomia, talvolta nella reciproca indifferenza. Questa è la caratteristica essenziale dei settori della moda e del design, ma anche della sanità e della ricerca biomedica, dell’editoria, della pubblicità, del digitale. Eccellenze in rete col mondo, ma separate, prive di scambi e di rappresentazione politica.

Milano è dunque sempre stata capitale, nel bene e nel male. Capitale del boom economico negli anni Sessanta, capitale del con itto sociale negli anni Settanta, capitale da bere degli anni Ottanta e subito dopo della corruzione po- litica. Tutti gli anni Novanta e i primi del nuovo millennio sono stati (con l’ecce- zione del primo, brillante mandato del sindaco Albertini) un periodo di grande sofferenza, anni in cui abbiamo assistito alla sparizione della politica come capa- cità di rappresentare gli interessi collettivi e aggregare le eccellenze. Del resto, è bene non dimenticare che nel 2006-7, una Milano sofferente, ancora immersa nell’onda lunga di Tangentopoli, guardava con invidia alla Roma di Veltroni e dell’onda lunga del primo Rutelli.

Expo è stato un catalizzatore, il momento in cui la capitale involontaria ha preso coscienza della sua identità. L’occasione dell’esposizione ha segnato il tempo e gli spazi di questa autocoscienza. Ben al di là dei suoi stretti meriti culturali, Expo ha catalizzato uno sforzo comune delle eccellenze milanesi. L’arcipelago è diventato un mare di rotte intrecciate, approdi, ancoraggi, accostamenti. Mantenendo la loro autonomia, le eccellenze milanesi hanno intravisto una finestra temporale per realizzare le trasformazioni della città. La politica – anzitutto la politica del centro-destra con Letizia Moratti, ma anche in modo più defilato la giunta Pisapia – ha saputo accompagnare questa consapevolezza.

Il «miracolo» di Expo è che tutte le energie della città si sono date una sca- denza nelle trasformazioni siche di Milano. Dagli investimenti immobiliari di più lunga data come Porta Nuova e City Life, a progetti che risalivano a 15 anni prima come il Mudec, no alla Darsena e alla Fondazione Prada. In due anni è partita una corsa che ha permesso a Milano di realizzare ciò che una città euro- pea fa solitamente in 15 anni e una città italiana fa in 30 anni. Questa accelera- zione, «spaesante» per l’Italia, ha rappresentato un segnale al mondo: con Expo e oltre Expo, Milano si è presentata con 15-20 fatti urbani nuovi, mediamente tutti di qualità. Così, l’individualismo delle eccellenze è diventato «donativo» ver- so la città. La volontà esplicita di realizzare «il meglio al mondo» da parte di grandi soggetti milanesi e internazionali nel campo dell’arte, del design, della salute (pensiamo a Fondazione Prada, a Pirelli con Hangar Bicocca, all’evoluzio- ne dell’Humanitas dopo la crisi dello Ieo) ha avuto un effetto esplosivo su ciò che stava attorno alle eccellenze. Ma per capire l’effetto catalizzatore di Expo, bisogna guardare anche alla storica capacità di Milano di accendersi per eventi temporanei. Un evento come il Salone del Mobile è, per fare un esempio, un magnete unico a livello globale, che ri ette un sistema sempre più vasto di scam- bi e in una doppia piattaforma: commerciale con la Fiera, culturale nella capaci- tà del FuoriSalone di accendere le reti della città.

Con l’accelerazione di Expo, le nuove aree urbane sono state in grado di attrarre una nuova geografia di investimenti. L’area vasta di Porta Nuova non si limita agli attori immobiliari internazionali, dagli Stati Uniti ai paesi del Golfo, ma è un nodo degli hub digitali, perché ospita le sedi di Microsoft, Google, Amazon. Alibaba ha scelto Milano come sede europea, preferendola a Istanbul e a Londra. La nuova Milano è un tassello cruciale della geopolitica degli investimenti cinesi in Europa. Anche questo processo è veicolato dall’immaginario perché, per fare un esempio, la moglie del presidente Xi Jinping è una grande amante e collezionista della moda e del design italiano. Ma ha acquistato profondità con l’apertura della sede di un’università cinese a Milano, con l’incubatore TusStar della Tsinghua University. I cinesi ora non si limitano a stabilire rapporti con Politecnico e Ied, ma mandano qui gli studenti direttamente, in una vera e propria ambasciata dell’innovazione.

In questi processi, il sindaco Beppe Sala ha avuto un ruolo importante, perché ha saputo coniugare un’azione umile ed efficace con la capacità di farsi carico della dimensione internazionale delle reti che Milano sprigiona e accoglie. In sintesi, Milano oggi appartiene a pieno titolo a un «sistema» di metropoli che condividono tra loro più elementi di quanti le leghino al proprio Stato di appartenenza. Tra le città europee non capitali, Milano gioca oggi nella stessa arena di Francoforte, Barcellona, Lione, Rotterdam.

2. Quali sono i confini di Milano? In termini di regione urbana 1, l’estensione a sud è limitata (Vigevano, Pavia non sono già quasi più Milano). A Nord l’immagine satellitare è invece quella di una grande foglia continua, che tocca Vare- se, Como, Lecco. Al centro della foglia c’è una conurbazione di piccoli centri, che sul lato sinistro hanno come margine il Ticino, sul lato destro l’Adda. È una geografia urbana che corrisponde a una storia manifatturiera di lunga durata, con la parte occidentale legata al sistema tessile e la parte orientale al sistema del legno. E le manifatture milanesi restituiscono ancora oggi una formidabile varietà, dagli arredi alla farmaceutica alla micromeccanica, che rappresenta una vera forza sociale e di innovazione, oltre alla capacità di ricerca e sviluppo e all’inserimento nelle catene europee e globali del valore. Assolombarda resta la più grande federazione di aziende italiane, con una legittimazione ben più elevata rispetto a Confindustria.

Ai confini di questa regione, Brescia è l’unica città lombarda che ha un rap- porto di collaborazione competitiva con Milano, che non soffre alcuna sudditanza, per via della sua storia culturale, finanziaria, religiosa, riflessa nelle personalità individuali e nelle grandi partite economiche. Si pensi a A2A, la multi-utility dell’energia e dei sistemi ambientali che vede insieme nella gestione Milano e Brescia, ma in cui di fatto quest’ultima sembra spesso contare di più.

Le reti della politica evidenziano alcune contraddizioni rispetto alla vivacità economica e sociale della regione urbana milanese. Da un lato, le grandi innovazioni politiche sono passate storicamente da Milano: il centro-sinistra, Craxi, Berlusconi nella Brianza, Bossi nella Valle dell’Olona. Adesso la nuova Lega nazionale è guidata da un milanese, Matteo Salvini, che viene dal liceo Manzoni e credo resti legato alla città, anche per la sua lunga esperienza in Consiglio comunale. Eppure, il comportamento elettorale di Milano negli appuntamenti elettorali del 2018 è in analogia con la Londra del Brexit. È come se queste metro- poli esprimessero un’apertura cosmopolita verso un pensiero liberale e socialdemocratico che non esiste più altrove. Ma Milano è oggi talmente eccentrica dal punto di vista politico che – diversamente dal passato – non può essere scambiata per una profezia nazionale: un mondo di élite fortemente orientato, che si perde di vista, una volta usciti dal centro.

A Milano, anche in periodi di forte conflittualità politica nazionale, resiste ancora una forma di consociativismo, di riconoscimento reciproco: le differenze politiche non in ciano mai il dialogo fortissimo tra le diverse dimensioni della città. Le recenti «coabitazioni» tra sindaci di centro-sinistra e presidenti della Regione di centro-destra hanno sempre funzionato e non hanno mai portato a rotture.

Un altro segno politico dello «Stato» di Milano è la vicenda della Fondazione Cariplo e del suo storico presidente, Giuseppe Guzzetti, al vertice dal 1997. Guzzetti è una figura centrale, che rappresenta la storia della Democrazia cristiana lombarda, il rapporto con Como, con Brescia, con tutta la politica istituzionale e anche con la classe dirigente della Lega. Guzzetti, nel corso di questi anni, è anche stato un formidabile «sostituto» della politica, un collante del terzo settore e delle imprese sociali, in grado di mettere insieme le porzioni di società che sono più in sofferenza e così di presidiare un’altra storica dimensione di Milano, legata al volontariato e alla filantropia. Su questi temi dell’impegno sociale, e non solo sull’orizzonte manifatturiero, Milano rappresenta infatti un passaggio obbligato per ogni progetto, anche per chi parte da altri territori. Penso all’attenzione che alla città ha dato un imprenditore come Enzo Manes con la sua straordinaria Fondazione Dynamo.

Oggi la «supplenza» politica della società continua a segnalare l’isolamento da Roma, anche negli aspetti trainanti della cultura italiana. Per fare un solo esempio, la Triennale, di cui sono presidente, riceve dal Mibact 1,2 milioni di euro l’anno, mentre il Maxxi riceve 5 milioni di euro l’anno. Ma questo accade in molti altri settori. Siccome Milano sembra procedere da sola, col pilota automatico, questo diventa nella prospettiva romana un perfetto alibi per il disimpegno, perché, tanto «ci pensa la Cariplo».

Il risultato è che le dinamiche del governo nazionale sono accolte a Milano con una certa indifferenza. Ma questa indifferenza della «capitale involontaria» cela sempre il rischio dell’arroganza. Non ci vuole nulla a tornare alla Milano da bere. Anche Milano perde, quando non capisce che la sua forza sta nell’innovazione, nella generosità, nella messa a sistema delle reti. Un esempio di fallimento è il Salone del Libro. Milano è senz’altro la capitale dell’editoria italiana: pesa per 7 miliardi su un giro d’affari complessivo di 17 miliardi. Eppure, con il Salone un aspetto trainante dell’identità milanese si è ridotto all’autocelebrazione e ha generato un’operazione di vertice, molto lontana – anche nella seconda edizione, pur di successo – dalla forza del Salone di Torino.

Un’altra incognita sul futuro di Milano riguarda il disagio sociale e la presenza della criminalità organizzata. In una regione urbana ricca, vi sono nicchie di disagio acuto, che corrispondono a isole di periferia molto centrali. Si pensi alla zona di via Gola, a due passi dalla Darsena, una zona di spaccio, casermoni, occupazione illegale. O al quartiere di Calvairate.

La grande malavita organizzata a Milano ha un profondo radicamento molecolare, come rilevato delle inchieste di Ilda Boccassini. Una presenza che si sovrappone alla finestra di trasformazioni della città e che evidenzia la «divisione del lavoro» e dei settori delle famiglie mafiose, dai servizi di pulizia alla ristorazione, passando per l’edilizia. Non c’è alcun dubbio che a Milano ci sia questa presenza ma osa, che ha generato indagini e processi, anche di recente, ma non viene percepita. Le ma e di Milano non si fanno vedere. Non hanno scandali che le rendono visibili. Si sono anch’esse «milanesizzate», celandosi dietro un contegno che potrebbe nascondere rischi inediti.

Milano, come sostiene Luca Doninelli (autore nei primi difficili anni Duemila di un bellissimo libro sul «crollo delle aspettative» nella capitale morale 2), dovrebbe forse cominciare a convincersi che il periodo di grande dinamismo che è in corso non è un’eccezione, ma uno standard raggiunto a fatica. Da mantenere con una guida pacata e serena. L’autocelebrazione e l’arroganza non si adattano a una piccola intensa metropoli che ha fatto della simbiosi tra generosità e innovazione la sua cifra. Non solo in Italia.

Stefano Boeri

(testo raccolto da Alessandro Aresu)