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Rinascite | Roma

Rinascite Roma

Immagini

Progetto

Stefano Boeri Architetti Srl

Cliente

Mondadori Electa

Anno

2017

Luogo

Terme di Diocleziano, Roma, Italia

Tipologia

Allestimento

Commissione

Concept, Progetto preliminare / definitivo / esecutivo, Direzione artistica

Superficie

332 mq

Credits

Project:
Stefano Boeri Architetti

Stefano Boeri (Founding partner)
Giorgio Donà (Project Manager)
Team: Marco Giorgio, Jacopo Abbate, Esteban Marquez, Martina Mitrović, Chiara Tomasin

Curatela artistica: Daniela Porro e Alessandra Acconcia

Immagini: Paolo Rosselli

Video: The Blink Fish

L’allestimento di “Rinascite. Opere d’arte salvate dal sisma di Amatrice ed Accumoli” dona nuova vita al patrimonio di opere d’arte recuperate dalle macerie delle chiese, attualmente decontestualizzate, e mette in luce il valore della cultura sedimentata nei piccoli centri del territorio italiano, parte dell’identità dei centri reatini colpiti dal sisma e dell’identità collettiva nazionale.
Degli oltre tremila beni portati in salvo, e oggi conservati nel deposito allestito presso la Scuola Forestale Carabinieri di Cittaducale (Rieti) si presentano  34 opere provenienti da chiese e strutture religiose di Accumoli e di Amatrice, e le loro frazioni. Dipinti, sculture, suppellettili liturgiche.
Alla mostra delle opere salvate, con svolgimento cronologico, si affianca un percorso espositivo parallelo dato da 21 fotografie scattate da Paolo Rosselli lo scorso settembre, che restituiscono lo stato dei luoghi, le atmosfere e i contrasti della rinascita, “gli elementi della vita materiale e i significati religiosi in un tutto organico; animali compresi”. Per non dimenticare gli effetti ancora evidenti e drammatici del sisma.

Le opere e le rovine di Stefano Boeri 

Il sisma rappresenta una improvvisa e insieme irreversibile deviazione dalla normalità.

Il terremoto cancella in pochi secondi costruzioni secolari e memorie decennali, estirpa brani di memoria collettiva e trasmette l’incertezza perturbante di una Terra non più Madre, ma origine di dolore e paura.
Più di ogni altra cosa, il terremoto, con la sua lacerante discontinuità, allontana dal tempo presente.
Spinge chi lo ha vissuto a cercare rifugi temporanei in altri luoghi da cui sarà comunque difficile tornare.
E spinge chi vorrà tornare a inseguire la nostalgia di un passato – la ricostruzione “dove era, come era” – che non potrà mai più davvero rivivere.

A partire da queste considerazioni, il salvataggio e il recupero di un rilevante numero delle opere d’arte ospitate in edifici sacri e civili colpiti dal sisma, rappresenta l’occasione per aprire una riflessione coraggiosa sul nostro tempo presente e sulle azioni in corso per la ricostruzione nel cratere del sisma.

Per questo, abbiamo scelto di allestire uno spazio che potesse mettere in scena non solo il valore delle opere esposte e del loro recupero, ma anche la loro capacità di agire come dispositivi temporali e spaziali. Come vettori per guardare dalle diverse profondità della storia dell’arte ai luoghi e alle azioni dell’oggi.

La mostra offre così una sorta di lettura parallela.
Sul lato sinistro delle quattro sale delle Piccole Terme del complesso di Diocleziano sono disposte le opere selezionate dai curatori: tavole, apparati decorativi, sculture che testimoniano, grazie alla loro eterogenea ricchezza, sette secoli di storia dell’arte sacra.
Sul lato opposto, abbiamo invece scelto di collocare una sequenza di grandi istantanee del presente, realizzate da Paolo Rosselli, maestro dell’immagine e cultore di un’estetica algida e insieme potente.

La campionatura e l’esposizione in parallelo delle opere e delle istantanee di Rosselli offre al visitatore l’opportunità di avvicinarsi ai luoghi del sisma e di riflettere, a ritroso, su quanto si farà, quanto si sta facendo e quanto non è stato fatto. Di ragionare sulle reali prospettive di conservazione in sicurezza di un patrimonio artistico diffuso in decine di chiese ed edifici rurali e sulle ragioni di un delicatissimo rapporto tra la salvaguardia storico-artistica e la messa in sicurezza dei Beni Culturali diffusi nei borghi e nelle frazioni di una vastissima e fragile parte del nostro territorio appenninico.

Al visitatore la possibilità di trovare connessioni, rimandi, congruenze utili ad avviare una riflessione resa difficile dalla prossimità, spaziale e temporale, della catastrofe.

Le nuvole su Amatrice e Accumoli di Paolo Rosselli

Le nuvole su Amatrice e Accumoli si fanno vedere al pomeriggio; di mattina il cielo è sempre azzurro. Poi, verso sera diventano più scure e si dispongono ferme attorno alle montagne fino a notte. Questo è quanto si nota ogni giorno nel cielo di settembre a nord verso le Marche o a sud verso l’Abruzzo. La gente del posto lo sa bene e tra l’altro non si stupisce quando la pioggia annunciata sulle varie app non si fa neanche vedere. Una piccola regione fortunata; a parte tutto.

Gli abitanti di queste lande accolgono il visitatore fotografo con un sorriso e gli danno del tu alla prima stretta di mano; e tanto per cominciare nessuna lamentela contro chissà cosa, la politica, lo Stato italiano e i commissari per il terremoto che si eclissano. Anche le espressioni tipiche “… lasciati soli… speranza… la situazione è complessa” che segnalano lo stato di sventura e un conseguente vittimismo non vengono utilizzate. Al contrario, ci si dà da fare e si cerca di risolvere i problemi: i cellulari surriscaldati obbligano a ricariche di energia dove capita, in auto, al bar, nella casa nuova dell’amica.

Forse una ragione di questo ottimismo delle persone, leggero e contagioso, sta nel fatto che sanno di vivere in un luogo particolarmente bello e ancora piuttosto sconosciuto. Semplicemente bello? No, l’aggettivo è inadeguato; e probabilmente Leonardo in cerca di sfondi per la Gioconda avrebbe potuto scegliere in alternativa la salita verso Campotosto (lì pure l’asfalto maculato ha una sua qualità) o la zona soleggiata di Spelonga; ma anche la piana di Castelluccio – dove, nuvole permettendo, è visibile la famosa crepa nel monte Vettore – poteva essere uno sfondo adatto anche se forse troppo duro e privo di quei segni delicati della civilizzazione, come gli alberi, le stradine, i poggi.

La civilizzazione appunto. Se c’è qualcosa che si percepisce è il divario, blando ma lo stesso riconoscibile, tra le tribù della città, secolarizzate, inclini all’antagonismo se non al litigio e quelle delle montagne degli Appennini di tendenza radicalmente diversa, più propense alla disponibilità, all’ascolto. D’altra parte il mondo con cui queste comunità hanno a che fare è profondamente diverso: per una vale l’informazione, di sicuro molto eccitante, ma che spesso rimane all’oscuro della realtà stessa che vorrebbe indagare; per l’altra contano di più gli elementi della vita materiale e i significati religiosi in un tutto organico; animali compresi.

Gli animali? Certo, perché anche loro si fanno notare in spedizioni notturne in cerca di cibo o in vagabondaggi solitari a mezzogiorno. Cinghiali, volpi, mucche, pecore e ovviamente cani. I primi mal sopportati perché un tantino bruschi, gli altri invece molto rispettati e inclusi nella comunità a pieno titolo.

Nella piana di Castelluccio incontro un allevatore: siamo in due nel raggio di dieci chilometri; intorno solo erba gialla. È seduto nella sua jeep, fa scorrere le notizie sul suo iPad e controlla le sue pecore. Gli dico “… questo luogo è magnifico”. Risponde “… sì certo, il fatto è che da un po’ di tempo siamo in crisi”. Ma subito dopo ironizziamo su un’auto pilotata da esperti in mappe digitali che poco prima aveva preso una strada sbagliata. Insomma la saggezza sta nel riscoprire il senso dell’umorismo; anche oggi. Per lasciare sullo sfondo i cataclismi e la loro memoria.

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